Scrivere una biografia è niente più niente meno che un puro e semplice esercizio di follia. Questo per gli ovvi motivi che sono connessi con l'atto stesso di voler ridurre una vita all'interno di un certo numero più o meno alto di pagine. Per quanto si riesca ad infilarci dentro, nell'ordine giusto dato dall'importanza degli avvenimenti per la persona che li ha vissuti (e già questo è un atto tutt'altro che scontato), ciò che rimane tagliato fuori sarà comunque una mole enorme di fatti, momenti, sensazioni, minuti, vissuti interni che, comunemente, chiamiamo appunto vita. Ciò che poi rimane incluso, dev'essere ovviamente interpretato (dalla sensibilità dell'autore, dalle testimonianze di chi fu vicino al soggetto biografato, ecc.) e la psicologia c'insegna che neppure il soggetto stesso può essere un buon interprete di sè stesso, ovvero della sua vita interiore (e delle conseguenze che questa riverbera sull'esistenza pratica, sociale, interrelazionale, professionale, ecc.), in questo senso si potrebbe dire che ogni biografia è una storia di fantasmi, perchè è una forma di detection in cui l'oggetto della ricerca sono le ombre che l'essere umano (quel certo essere umano biografato) ha lasciato sul suo cammino, fantasmi appunto, ectoplasmi di quello che fu, segni ed indizi di qualcosa che, comunque, resta inafferrabbile per definizione. In questo caso particolare, l'impresa è una follia all'ennesima potenza, dal momento che la vita da scandagliare è quella di un genio. Peggio, o meglio, quella di un genio sul limite, forse non tanto della follia quanto del disturbo mentale, come David Foster Wallace. Se vi dico che alla fine muore, non svelo niente. Questo è uno dei vantaggi delle biografie, non bisogna porsi troppi problemi a non svelare dettagli e particolari; per tutto il resto è un casino. Perchè una biografia dovrebbe essere degna di lettura e un'altra no? Dipende solo dal tipo di vita che viene narrata? Ovviamente no, non solo., anche se tendo a pensare che la biografia di un lattaio morto di crepacuore a cinquantacinque anni a giù di lì, con moglie e due figli adolescenti sia quasi automaticamente meno interessante di quella di un terrorista internazionale come Carlos, ad esempio, ma il succo sta da un'altra parte, e in questo la vita di D.F.W. certamente ha aiutato l'autore di questo libro. Sta nella scelta degli episodi riportati e nel valore da assegnare ad ognuno di essi. In questo senso, D.F.W. è stato prodigo. Figlio della piccola borghesia, di due genitori all'incirca nella norma, come possono esserlo molti altri, con una sorella più piccola, Amy, D.F.W. si rivela fin da piccolo, se non proprio un bambino prodigio o un piccolo genio, comunque un bambino dotato di un'intelligenza fuori dal comune. Come spesso accade, da qui i problemi. Mente acutissima e affetto da un mania di perfezionismo assoluta, soprattutto nell'analisi dei processi mentali suoi ed altrui, viene presto colpito da attacchi di panico violentissimi che causano i suoi primi ricoveri in strutture apposite. Pur brillando per i risultati, si vede costretto a dover interrompere gli studi al college per curarsi e finirà per dipendere a vita da farmaci specifici che saranno, in un certo senso, causa della sua morte prematura, proprio quando, in un eccesso di ottimismo, crede di potervi farne a meno. In mezzo sobbollono le dipendenze dalle droghe e i relativi (e successivi) processi di disintossicazione, i libri, il postmodernismo, Pynchon e DeLillo, il sesso promiscuo vissuto anch'esso come una dipendenza, la scrittura (una dipendenza anch'essa, anche se in certi casi dolorosissima da mettere in pratica, sempre per via del suo perfezionismo maniacale, in special modo da mettere in pratica con metodo e dedizione assoluta), le lettere agli amici scrittori (Franzen e DeLillo su tutti), le amicizie nate nei programmi di disintossicazione, di meditazione o di preghiera, il disconoscimento del postmodernismo come soluzione a cosa e come e, soprattutto, perchè narrare e il riconoscimento dell'ironia postmoderna come il male dei nostri giorni, le collaborazioni con le riviste, il tennis, Infinite jest, il successo ed il senso di colpa che questo porta con sè, la fine dei problemi economici, il distacco ed il silenzio dalla famiglia, la crocifissione della madre identificata come l'origine dei suoi mali, i suoi cani, l'insegnamento cercato, agognato, poi vissuto come limitativo e castrante, e infine nuovamente visto come benefico e rigenerante, l'insegnamento come atto morale e, soprattutto, la parabola di un uomo con un intelletto fuori dal comune che avrebbe avuto tutti i motivi per fuggire da sè stesso e che, al contrario, ha preferito martoriarsi pur di non venire mai meno alla propria autocoscienza, e (poi, in più), all'analisi di questa autocoscienza e delle sue conseguenze. E' un uomo che guarda sè stesso (e già questo fa tremare i polsi alla maggior parte degli esseri umani, quando non li porta direttamente alla follia), che poi si allontana e si guarda guardare sè stesso, che riflette su ogni implicazione possibile di ciò che vede e del suo guardarsi guardare e, non contento, studia a fondo il contesto che circonda il suo primo Io, e poi il secondo, e poi il terzo. Si domanda il perchè l'americano medio si rincitrullisca per almeno sei ore al giorno davanti ad un elettrodomestico come la televisione, e perchè, soprattutto, l'americano medio (verrebbe da dire: l'essere umano medio) predilige i programmi spazzatura, e si chiede come queste sei ore giornaliere influiscano sul modo di pensare e di percepire la realtà, e quale tipo di realtà l'abbia condotto a sentire la necessità di tutte quelle ore di fronte ad uno schermo che mostra (quando più, quando meno) il peggio della natura umana. Si pone domande su un sacco di cose, da quelle apparentemente più banali, come le grandi fiere agricole regionali o il mondo della pornografia, a quelle più insondabili e terribili.
Sempre che esistano risposte univoche e definitive, quelle che ha trovato D.F.W. non dovevano essere delle più incoraggianti.
D.T.Max, ci conduce in un viaggio affascinanate e terribile, del quale è bene rimanere spettatori per non correre il rischio di lasciarci travolgere dal quel vortice che, assieme ad una serie di capolavori che ci ha lasciato a testimonianza di quanto sia complesso e terribile vivere, ha trascinato D.F.W. in un gorgo affascinante e doloroso per lasciarlo infine appeso ad una trave di casa sua, il 12 Settembre 2008. E' una biografia ben scritta, non solo per gli appassionati di D.F.W.
Chi la leggerà, sono quasi certo che comunque lo diventerà (appassionato).
D.T.Max è nato e cresciuto a New York. Dopo essersi laureato a Harvard, ha cominciato la sua attività lavorando per il New York Observer, il New Yorker e in New York Times Magazines.
Il suo libro precedente era un saggio dal titolo The Family that Couldn't Sleep. A Medical Mistery (2007). Attualmente vive in New Jersey.
Qui potete trovare una sua intervista per il sito Archivio David Foster Wallace Italia.
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
sabato 22 giugno 2013
Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi, vita di David Foster Wallace, di D.T.Max, Einaudi stile libero
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