Mi pare che questo libro non abbia avuto una gran fortuna in Italia, quantomeno io l'ho recuperato a 4 euro e 90 in un cestone al Carrefour, in mezzo ad un mare di edizioni strampalate e sconosciute e libri di autori oscuri o caduti in disgrazia o che in disgrazia non ci sono neppure caduti ma ci son nati. Eppure,
Va tutto bene è una sorta di Spoon River, solo che Spoon River non si chiama Spoon River ma Federal Way, e le voci non sono quelle dei morti che marciscono nel cimitero bensì quelle dei vivi che si arrabattano a campare come possono, terrorizzati come cervi davanti ai fari di un'auto. La paura, l'immobilità, lo sconcerto di fronte all'esistenza, la droga, i figli che diventano un ordine di misura del proprio fallimento o dell'incomprensibilità della vita, il matrimonio come qualcosa di assurdo e in certi casi di misterioso, la morte e tutto ciò che sta prima della morte, fino ad un secondo prima, il basket e l'amicizia, il lavoro, e la boxe, il Trolley bar attorno al quale tutto gira ( e, a volte, vortica, ma lentamente, in vortici lenti, dolenti ed ipnotici). Tutto questo è Federal Way, ma in realtà non è così. Federal Way - immagino - è ben altro: è la scelta che Mcintosh compie che ci porta a quanto sopra elencato, l'umanità da descrivere Mcintosh la sceglie in base al momento che sta vivendo.
Un momento delicato derivato da
un destino incattivito, poca azione, quasi nulla, nulla, al contrario molta introspezione raccontata con una maestria che pochi autori si possono permettere: sono i sentimenti genuini, strazianti, a volte imbarazza(n)ti che si scontrano e si combinano nei vari capitoli e rendono il senso di un'azione che non c'è, e che trasmettono un'idea di unità narrativa che in realtà quasi non esiste. Il punto d'unione è Federal Way, nel senso che le storie narrate appartegono a persone che vivono lì: poi: a persone che stanno seguendo una certa partita di basket, che frequentano o frequentavano un certo locale, il Trolley, che ruotano attorno al funerale di un giovane suicida, ma non solo. Poi ci sono voci che emergono per assonanza con altre: il pugile che pensa se andare al funerale di un suo avversario, la madre che s'imbambola in fila al supermercato e, in quel momento, in quel preciso momento, si accorge di un particolare banale che la rimanda a qualcosa di più grande, pensa, forse di superiore o trascendente e si chiude in macchina cercando di capire qualcosa in più finchè la figlia non bussa al finestrino e le chiede perchè diavolo non si dia una mossa, o il tossico che in pratica vive su un battello di linea e quando scende a terra va in cerca di vecchi e nuovi compagni di sballo, cercando in quella maniera sinistra un raggio di luce, un'amicizia, anche solo per la notte, anche solo per avere il tempo per raccontare di sua moglie e di sua figlia che ora stanno con un tipo giù a Federal Way, di sua moglie che lo ha lasciato anni prima, quando lui combinava brutti casini e si comportava male con la gente, non come ora che offre la roba gratis e si raccomanda coi giovani tossici di non mettersi nei guai: il suo modo per redimersi.
Buona parte dei capitoli s'intitolano "Quanto diavolo ci mette ad arrivare", ed è come se fosse la domanda stessa dei protagonisti del romanzo che si domandano quando arrivi la botta, come il cervo paralizzato di fronte ai fari dell'auto: la botta definitiva che li colerà a picco, o la botta di fortuna che li risolleverà, o la botta di droga che li spedirà per qualche tempo in un mondo meno spaventoso, più luminoso e semplice di quello in cui sono intrappolati. Mcintosh aggiorna alla contemporaneità l'umanità descritta nei romanzi di
Nelson Algren e la demitizza. I losers di Mcintosh sono losers non tanto (o non solo) in relazione alla loro condizione sociale o economica, bensì lo sono perchè in un dato momento (che può essere un periodo o tutta una vita) si trovano a non capire le regole base dell'esistenza, quelle che tutti danno per scontate, prima ancora di non essere in grado di adattarvisi, non le compredono, si trovano in un universo senza senso, senza logica apparente ai loro occhi, per questo in fondo hanno paura, per questo cercano conforto nelle droghe, e per questo nonostante non siano buoni padri, buoni mariti o buone mogli, non siano nè buoni lavoratori nè tantomeno buoni cittadini, nè siano buoni pugili e non lo siano mai stati e in certi casi non siano in gradi di essere neppure buoni tossici, comunque chiamano il lettore a non giudicarli, se non proprio a capirli (o a cercare di farlo), almeno a non giudicarli. Ma alla fine più che pura e semplice compassione si arriva a provare tenerezza per (alcuni di) loro, perchè in fondo quelle paure che emergono dalle pagine del libro, quel non comprendere l'esistenza o certi suoi aspetti, quel rimanere immobili e spaesati sono sensazioni che fanno parte di ogni essere umano. La bravura, o forse in questo caso ci si può spingere ad affermare: la grandezza di Mcintosh sta nel comporre un puzzle apparentemente disordinato (ma organico) che lascia emergere su tutto non uno o più personaggi, una o più situazioni, bensì la sensazione, quel
quid di inespresso (perchè inesprimibile) che non sta nei racconti, nei personaggi e noi dialoghi e solo in parte sta nella scrittura bensì tra le righe, nel non detto, nell'immaginato, quella sensazione che ci portiamo dentro e non sappiamo rendere comprensibile al prossimo di inadeguatezza, di assurdità, di incomprensione e la paura collegata e la successiva necessità di tenerezza, di appoggio, di aiuto. Il bisogno assoluto di famiglia o di amicizia, o di entrambe, se non fosse che anche l'amicizia e la famiglia si rivelano parte del disegno oscuro nel quale ci si è persi.
Matthew Mcintosh esponente dei giovani narratori americani che in anni recenti ha fatto conocere
David Foster Wallace,
Nathan Englander e
Adam Haslett, è uno scrittore che dà voce alla più basse frequenze del cuore. Ha ventisette anni ed è nato vicino a Seattle, laureato all'Iowa University, è autore di racconti pubblicati su riviste e cofondatore della piccola casa editrice indipendente Well Known Press.
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