La scrittura è sempre di un livello elevatissimo e certe descrizioni di luoghi o di momenti estremamente azzeccate, ma la storia s'interrompe mentre ci chiediamo cosa succederà e, al contempo, cosa già sta succedendo. Non lo sapremo mai. La seconda parte è terribile: una serie di riassunti dei romanzi di Arcimboldi, un elenco di nemici di Arcimboldi, appunti da lezioni, questionari ed elencazioni varie. Poi, finalmente, si giunge alla terza parte, Assassini de Sonora, e finalmente la storia torna a scorrere, o forse comincia a scorrere realmente per la prima volta, anche se il balzo temporale è al revés, indietro nel tempo. E seguiamo le avventure di Pancho Monje e Pedro Negrete, storie che s'intrecciano tra loro e con quella di Amalfitano, cominciamo a vedere (o forse ad indovinare) i primi sviluppi, il contorcersi delle storie e dei personaggi su loro stessi, sulle proprie ossessioni e sui propri destini più o meno sfacciati, maledetti, e casuali. Spacciati. Poi finisce. Il fatto che termini senza una fine non è una colpa dell'autore e non è neppure il limite del libro, magari può essere letto come un marchio di fabbrica. La questione è che è squilibrato nel complesso. La parte centrale (io vi ho visto un divisione tripartita, ma i capitoli sono cinque), quella su Arcimboldi, è sicuramente figlia dell'amore dell'autore per le avanguardie e dello sperimentalismo, ma è pure terribilmente pesante e sproporzionata rispetto al resto dell'intreccio ed alla lunghezza stessa del libro. Mi spiego. Si ha la sensazione che se l'autore avesse potuto lavorarci sopra e licenziare il testo terminato, la parte arcimboldiana sarebbe stata della lunghezza e del peso corretto rispetto ad un libro più ampio, di un respiro maggiore, con un intreccio magari non terminato ma lasciato a sospendere nel vuoto ad uno stadio più avanzato, più complesso. Voglio dire che il fatto che sia un libro non terminato lo si sente non tanto dal finale quanto dal complesso della storia e dalla sproporzione delle sue parti.Per questo non lo considero tra le opere maggiori nè tra le migliori di Bolano, anche se rimane il fatto che la stragrande maggioranza degli scrittori viventi (e morenti, morti e moribondi) darebbe il braccio sinistro (i mancini) e alcuni quello destro pur di saper scrivere come lui.
Penso che, comunque, sia un libro adatto a quanti già stimano Bolano, a chi già lo conosce e lo ama, anche perchè potrà scorgervi qua e là sviluppi e personaggi magari solo abbozzati ma già conosciuti in 2666 - questo sì un capolavoro, il capolavoro di Bolano -, in Stella distante, Chiamate telefoniche e I detective selvaggi; chi dovesse cominciare con questo libro ad accostarsi al mondo assoluto e dissoluto, e caotico, dell'autore cileno, temo che avrebbe difficoltà a trovare gli stimoli per affrontare il resto della sua opera. E sarebbe il peccato più grande.
Aspetto la traduzione de Il segreto del male. Alcuni racconti sono al livello dei suoi migliori e la raccolta in sé è di sicuro valore.
Roberto Bolano è nato a Santiago del Cile 28 Aprile 1953, ed è morto a Barcellona il 14 Luglio 2003. Semplicemente è Bolano, L'ultimo classico, un Borges elettrico, il cantore del caos e dell'esilio, degli intrecci sospesi, del destino in mano al caso. Se avesse un senso questo aggettivo in letteratura, direi semplicemente: il migliore.
Chi volesse approfondire e documentarsi su tutti gli aspetti legati a quest'autore può andare qui. E' il sito più completo (e complesso) che si possa trovare.


Sono daccordo con te, anch'io ho atteso molto questo libro sulla scia di quanto avevo potuto apprezzare Il terzo Reich, e in un certo senso ho trovato un Bolano in tono minore.
RispondiEliminaPer carità, anche qui delle pagine magnifiche, però credo che lo scavare a forza negli appunti dello scrittore cileno ci abbia regalato in questo caso una specie di laboratorio per quello che sarebbe divenuto 2666, se non un'opera incopleta e raffazzonata.