In occasione delle recente pubblicazione del suo ultimo libro Le poltrone appassite nella collana Gli Eccentrici di Arcoiris Edizioni, pubblico qui di seguito l'intervista con l'autore, il geniale Felipe Polleri, uruguaiano di origine italiane (come leggerete nell'intervista). Ne approfitto per ringraziare la cortesia e la disponibilità dell'autore (per l'avventatezza che lo ha portato a concedere la sua prima intervista per il pubblico italiano a questo piccolo e appassionato blog) e la casa editrice Arcoiris che l'ha resa possibile, in particolar modo Loris Tassi, curatore della collana Gli Eccentrici e traduttore di Polleri, e Barbara Stizzoli che ha seguito la traduzione di quanto trovate qui di seguito.
Concludo questa breve intro consigliando a tutti l'esperienza di lettura dei libri di Polleri, che amo in particolar modo: testi particolarissimi che, facendo a pezzi ogni riferimento narrativo abituale (trama, narratore, e via discorrendo), puntano dritto al cuore della sua poetica, con uno stile impeccabile che si fa esso stesso narrazione. Sono incubi ad occhi aperti, gli incubi di un'umanità dolente e goffa, scorbutica, difettosa e difettata, che amerete da subito. La speranza, a questo punto, è che ai due titoli per ora tradotti in italiano, se ne aggiungano di nuovi.
La letteratura, per citare uno slogan, come non l'avete mai vista.
- Ne Le poltrone appassite il microcosmo narrativo è quello di un palazzo. In Germania, Germania! era il paesaggio nazista, temporale e psichico in particolar modo. La messinscena della tragedia umana è adattabile ad ogni contesto?
* Pascal diceva, pressapoco, che la vita può sembrare una commedia molto divertente, ma che il finale è sempre sanguinoso. Dunque, tutta la vita umana non è altro che una tragedia contenuta in una brodaglia in scatola o nel quartiere più insigne di Roma.
- Leggendo i suoi libri (Le poltrone appassite, Germania, Germania! La inocencia, quest'ultimo titolo non è ancora stato tradotto in italiano) la sensazione che ne ricevo è che quella che sopra ho definito "tragedia umana" sia connaturata con la nostra stessa natura, in tal senso, chi ne vede la mostruosità, per riconoscerla, deve per forza porsi al di fuori di essa, e quindi, paradossalmente, al di là della propria stessa natura umana. In un certo senso lo scrittore deve trascendere l'umano, divenire occhio imperturbabile e scrutare il vivere da uno spazio profondo. Nel libro Le poltrone appassite, lo scrittore del 101, un Proprietario, è colui che dice di prestare la voce al povero Nestor, ma sembra più che altro un personaggio fittizio, non riesco a sentirlo come la voce di "Polleri scrittore". E' questo, per Lei, lo scrittore, colui che si pone al di fuori della vita per poterla ritrarre senza le schermature che, vivendola, ci sono imposte? Lo scrittore, quindi, è corretto affermare che è colui che, dalla morte, ci parla di noi stessi? O, in caso contrario, chi è, cos'è lo scrittore?
* Lo scrittore, per come lo intendo io, è qualcuno che è stato estromesso dalla vita comune. Lui è stato estromesso o in un certo senso si è allontanato spontaneamente perché non può condividere la visione del mondo che ha la maggior parte delle persone. Dall'esterno quindi, probabilmente da una sorta di morte, descrive quello che sente e quello che vede con occhi da straniero. Forse è un mostro, ma un mostro che capta con una chiarezza singolare la mostruosità degli altri e della società in cui si vede costretto a vivere. Esagerando, si potrebbe dire che se c'è qualcosa di veramente mostruoso, è la mostruosità del neoliberismo e della conseguente miseria. O siamo vittime, o siamo carnefici. Io spero con fervore di risultare tra le vittime e non tra gli aguzzini.
- Lo scrittore, nel suo caso, mi pare si possa dire perda la sua voce per diventare esso stesso voce. Ho cercato più volte di capire chi fosse il narratore in Germania, Germania! e in questo Le poltrone appassite e ogni risposta che mi davo non era soddisfacente, fino a quando non mi sono risposto che il narratore è la narrazione stessa. Nel suo caso più che in altri mi sembra che la parola si liberi di ogni legame ed orpello e si faccia carico di seguire la follia che la circonda. Qual'è il suo rapporto con la parola, chi comanda alla fine dei giochi, Lei o la parola?
* La mia voce narrante è solo una e mi ci è voluta gran parte della vita per trovarla. Attraverso quella voce parlano i miei personaggi, i miei mostri, che non posso fare a meno di amare. Diciamo che scrivere per me significa immergermi nell'inconscio, per lasciare parlare i mostri che porto con me. Quelle voci dicono della parole che quasi non riconosco, parole negate che spesso mi spaventano a causa della loro malevolenza e crudeltà o per la loro veridicità. I miei personaggi stanno combattendo contro di loro. Io offro al lettore l'opportunità di dare il proprio contributo e di vedere il mondo con occhi più critici. Di prendere in considerazione problemi morali più complessi rispetto a quelli che gli presenta la letteratura dozzinale.
- Per quanto le realtà che descrive siano apparentemente grottesche, disturbanti e non poco folli, il suo stile è estremamente pulito, lineare, pur senza essere freddo. E' una voce che esce di getto o è frutto di un'opera attenta e certosina di limature e sottrazioni?
* Ripeto che, la mia voce narrante è frutto di una ricerca lunga e dolorosa. A volte sgorga come un getto, altre volte devo lavorarci parecchio affinché, alla fine, il rubinetto si apra. C'è sempre una correzione accurata, con "limature" e tantissime "sottrazioni". Di tutti i miei libri, un cinquanta per cento finisce nel cestino. O anche un cento per cento.
- Leggendo i suoi libri ho come l'impressione che a volte le frasi si impongano per la loro iconicità, per un loro intrinseco ritmo nascosto, come se ne privilegiasse l'estetica, come se il semplice suono di una frase fosse già parte del suo significato. In base a questa mia azzardata affermazione, quanto pensa io sia affetto da delirio, e in quale grado e forma?
* Sono un esteta. Un libro si giustifica per la sua bellezza, anche se è un fiore del male. Per quanto riguarda il delirio, pur essendo una persona gentile e rispettosa con gli altri, so di avere una specie di pazzoide dentro di me. ed è la mia condanna, ma anche ciò che mi costringe a (e mi permette di) scrivere i miei libri. Dunque è una condanna e una benedizione.
- Gli Angeli/Ordinatori sono esseri umili e divini, destinati all'umiliazione in una vita in cui non è prevista l'opzione del "paradiso in Terra", si lasciano umiliare per rendere felici gli esseri umani (i Proprietari), perché è attraverso la felicità che possono avvicinarsi a Dio. Eppure l'unica modalità che hanno i Proprietari di rapportarsi con Nestor, l'Ordinatore, l'Angelo, è quella di farlo sentire inferiore, trattarlo come un ritardato, umiliarlo. Non sono capaci di vederne la natura divina. Gli esseri umani, nei suoi libri, sembrano destinati ad una vita di soprusi, inflitti o subiti, e incatenati ad una intima incapacità a cambiare il proprio registro: non esiste l'empatia nei mondi che crea. Esiste il riso, ma grottesco, amaro, beffardo, ma mai l'empatia. E con essa non s'intravede mai una possibile redenzione. Nel suo modo di vedere il mondo e la letteratura, esiste redenzione?
* Potrebbe non sembrare, ma c'è empatia verso le mie vittime, verso tutte le vittime della società. Non è esplicita perché non scrivo opere a tesi. Non ho mai scritto o pensato che la mia scrittura debba essere più pia della realtà; la realtà è crudele, la nostra storia (da cui non abbiamo appreso mai niente) è una storia di genocidi.
- La struttura sociale che sottende la vita del condominio è molto rigida e piuttosto semplice e ricalca con trasparenza le contraddizioni svelate dal marxismo: proprietari e portieri, padroni e lavoratori, e le dinamiche sono quelle tipiche dei rapporti di forza: chi può si approfitta dell'altro e lo irride. I concorsi poi paiono dei momenti istituzionalizzati e regolati che mettono in scena sempre lo stesso meccanismo, la sopraffazione, in gare che sono epifanie grottesche del meccanismo capitalista della concorrenza spietata. Eppure nei sui libri prevale l'aspetto "umano" (nel senso più deteriore del termine) rispetto alla critica sociale, come se la società fosse solo un palco sul quale vengono esibiti gli stessi mostri, mostri che cambiano maschera ma restano sempre gli stessi, quelli ai quali il genere umano è condannato. Quanta attenzione pone alle due polarità narrative? E' la società a corrompere l'uomo o è l'uomo, già naturalmente corrotto, a creare una società a sua immagine?
* Credo, e magari questo è sufficiente per darmi del marxista, nella lotta di classe. Non lo so se è la società quella che ci corrompe o viceversa. Qualcuno lo sa? Ad ogni modo voglio credere che un giorno verrà un mondo più giusto.
- La morte, il disgusto, la violenza, la sofferenza, le pene legate ad un corpo materiale che si deteriora, che odora, che suda, che marcisce: tutto questo è parte del vivere o è il tutto?
* Oltre alla morte, al disgusto, alla violenza, alla sofferenza, ecc., esistono l'amore, l'amicizia, la solidarietà, ecc. ma forse i buoni sentimenti creano cattiva letteratura, come è già stato detto.
- Quanto è importante per l'essere umano come specie la narrazione di sé stesso? Perché siamo così intimamente legati alla necessità di raccontare noi stessi a noi stessi? Di rappresentarci all'interno di un meccanismo narrativo come se questo potesse dare un senso al nostro stare la mondo?
* Narrare, nel mio caso, significa provare a vedermi in modo oggettivo. Ed è l'unica maniera che ho trovato per scoprire chi sono e cosa sento perché da buon "pazzo" ho un'identità problematica.
- Non esiste empatia, forse nemmeno nella narrazione, non esiste redenzione: esiste almeno la speranza di vedere altri suoi libri tradotti in italiano?
* Ci redimiamo nell'amore per una donna, per gli amici, nel rispetto per tutti gli esseri umani con i quali ci incrociamo e che proviamo ad aiutare. Sì: ho la speranza di vedere altri miei libri tradotti con amore in italiano dai miei amici di edizioni Arcoiris. Spero che li collochino tra la Divina commedia e le opere di Pasolini. Scherzi a parte, il mio cognome è italiano e mia nonna era una contadina lombarda. Ho un certo diritto, pertanto, ad avere un posticino molto, molto modesto, nelle librerie italiane. E molto, molto lontano da Dante, o Leopardi, o Ungaretti, tre poeti che amo.
Apprezzato da autori come Mario Levrero, Fogwill, Elvio Gandolfo e Mario Bellatin, l'uruguaiano Felipe Polleri è considerato uno dei più grandi scrittori latinoamericani degli ultimi decenni.
Edizioni Arcoiris ha pubblicato Germania, Germania! e, da poco, Le poltrone appassite.